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Si può cedere il diritto di abitazione riservandosi la casa?

19 Marzo 2024
Si può cedere il diritto di abitazione riservandosi la casa?
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Nulla la cessione del diritto di abitazione al figlio con riserva di continuare a vivere nella casa.

Ipotizziamo il caso di un uomo con numerosi debiti. Nel tentativo di non farsi pignorare la casa, decide di cedere al figlio il diritto di abitazione. Ma, nello stesso tempo, non avendo altro tetto sotto cui dormire, si riserva il diritto di continuare a vivere nel proprio appartamento di cui pertanto preferisce conservare l’intera proprietà. Al che ci si chiede: cosa possono fare i creditori dinanzi a un atto del genere? Si può cedere il diritto di abitazione riservandosi la casa?

Certo, molto più facilmente il debitore avrebbe potuto cedere la nuda proprietà al ragazzo riservandosi l’usufrutto, ma il suo timore, evidentemente, è che ciò possa creare conflitti con gli altri eredi o che il figlio stesso, un giorno, possa mandarlo via di casa.

La Cassazione, in una recente pronuncia (ord. n. 6663 del 2024), ha affrontato tale tema. Cerchiamo allora di fare il punto della situazione, alla luce dei chiarimenti offerti dalla giurisprudenza.

Come anticipato nell’esempio esposto poc’anzi, il problema giuridico si snoda attorno alla eventuale validità degli atti di cessione del diritto di abitazione, specialmente quando questi si accompagnano a una clausola che riserva al cedente il diritto di continuare a vivere nell’immobile.

I giudici hanno però evidenziato l’incongruenza di tale atto. Difatti, non si può – o quantomeno è molto sospetto – da un lato cedere il diritto di abitazione e, dall’altro, continuare a usufruire dell’immobile. E ciò proprio perché la caratteristica del diritto di abitazione è proprio l’uso del bene per le proprie esigenze abitative. Sembra un controsenso. Se a questo si aggiunge anche il fatto che il rogito viene eseguito successivamente alla contrazione del debito, tutto fa propendere per la simulazione assoluta dell’atto.

Breve parentesi per i meno esperti del diritto. Il creditore ha sempre la possibilità di esperire la cosiddetta azione revocatoria per rendere inefficace l’atto di trasferimento della proprietà su un bene o di altro diritto sul bene stesso (ad esempio l’usufrutto). Ha tuttavia cinque anni dal rogito per agire.

Tuttavia, se l’atto posto dal debitore risulta essere una semplice finzione, di cui le parti non hanno mai voluto realizzare gli effetti – come nel caso di specie – il creditore può esercitare l’azione di simulazione senza limiti di tempo, quindi anche ben oltre i 5 anni dell’azione revocatoria.

Diverso è il caso della “simulazione relativa” – che qui non interessa – e che si verifica quando le parti concludono un contratto ma ne vogliono un altro: si pensi al padre che finge di vendere la casa alla figlia ma, in realtà, sta compiendo una donazione. Di tanto abbiamo già parlato in Chi deve provare la simulazione?

Torniamo alla vicenda decisa dalla Cassazione.

Il nucleo della controversia si è concentrato su un atto pubblico di vendita attraverso il quale un individuo concedeva al figlio il diritto di abitazione su un immobile di sua proprietà, ma con una clausola particolare: il diritto per sé e la moglie di continuare a vivere nella casa, mantenendo la piena proprietà e l’usufrutto dell’immobile. Questa configurazione ha sollevato dubbi sulla reale natura dell’accordo, interpretato dalla Corte come una “simulazione assoluta” del contratto, ovvero un atto in cui la volontà dichiarata delle parti non corrisponde alla loro effettiva intenzione.

Secondo i giudici, infatti, il privilegio concesso al proprietario (di continuare a vivere nell’immobile) risulta incompatibile con l’intento di istituire un nuovo beneficiario del diritto di abitazione. Questa contraddittorietà tra la volontà espressa e quella reale ha condotto alla dichiarazione di nullità dell’atto di cessione, in quanto privo di una causa lecita e coerente con le normative vigenti.

La Suprema Corte, tuttavia, ha sostenuto che la valutazione della simulazione si è fondata su una pluralità di elementi convergenti, giudicando la riserva di abitazione in capo al cedente come incompatibile con la costituzione del diritto di abitazione a favore del figlio.

Visto su: La legge per tutti

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