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Come si fa a sapere se si è in comunione dei beni?

13 Settembre 2022
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C’è un modo per avere la certezza nero su bianco sul regime patrimoniale adottato al momento del matrimonio? E che succede per le coppie di fatto?

Del giorno del proprio matrimonio si hanno diversi ricordi, dal momento dell’arrivo in chiesa o in Comune a quello del fatidico «sì», dagli auguri al ricevimento fino a qualche particolare aneddoto della giornata. Ma se si chiede, dopo un po’ di anni, agli sposi se ricordano quello che hanno firmato davanti a chi ha officiato la cerimonia, in quanti risponderebbero correttamente? La maggior parte direbbe di aver messo la firma sotto gli articoli del Codice civile che erano stati letti in pubblico poco prima e che stabiliscono le regole «legali» di un matrimonio. In pochi, però, sarebbero in grado di dire se hanno firmato anche per definire il loro regime patrimoniale. Quanto meno, verrebbe il dubbio: chi è che, in un momento come quello, con gli invitati che attendono fuori e l’emozione delle nozze, si mette a leggere dettagliatamente quello che sta firmando? E quindi, a distanza di tempo, come si fa a sapere se si è in comunione dei beni?

 

A volte, l’unico modo per fare una cosa è non farla. Ed è, come vedremo tra poco, quello che succede con la comunione dei beni: se non viene detto il contrario, la coppia adotta questo tipo di regime patrimoniale, purché si sia sposata dopo il 1975, anno in cui è entrata in vigore la norma. Chi, però, vuole avere un documento in mano, magari perché richiesto per una pratica, che cosa deve chiedere per sapere se è in comunione dei beni? E a chi lo deve chiedere? Vediamo.

Che cosa comporta la comunione dei beni?

Quando due persone si sposano possono adottare il regime patrimoniale della separazione dei beni, che prevede che ciascuno degli sposi mantenga anche dopo il matrimonio la proprietà sulle cose che acquistano anche se servono a entrambi (mobili, elettrodomestici, ecc.). Un domani, pertanto, nel caso la convivenza finisse, non dovranno dividere alcunché.

Oppure possono non adottare la separazione dei beni. In questo caso, dal 1975 subentra automaticamente la comunione dei beni. Un regime che comporta, ovviamente l’esatto contrario: tutto ciò (o quasi) che viene acquistato dagli sposi dopo le nozze entra a far parte del patrimonio in comune di entrambi.

Che significa quel «quasi» inserito tra parentesi? Che non proprio tutti i beni diventano di proprietà degli sposi al 50%. In pratica, non rientrano nel regime di comunione:

i beni che i coniugi possedevano prima del matrimonio (anche se acquistati la mattina stessa prima di andare in chiesa o in Comune);
i beni ricevuti dai coniugi per donazione o per successione ereditaria anche dopo il matrimonio;
i risarcimenti di un danno;
i beni personali (vestiti, gioielli, cellulare, ecc.) o di uso strettamente legato all’attività lavorativa, come un computer o una borsa;
i beni acquistati con il ricavato dalla vendita dei citati beni;
i proventi economici derivanti dal lavoro dei coniugi (ad esempio, lo stipendio e, quindi, il conto corrente su cui questo è accreditato).

Pertanto, in caso di separazione o di divorzio, la comunione dei beni comporta la necessità di dover affrontare la divisione di tutto ciò che è stato fatto, comprato e pagato dopo il matrimonio e, nello specifico:

i risparmi che ciascuno di loro ha messo da parte dal giorno del «sì»;
gli acquisti effettuati durante il matrimonio;
le aziende costituite e gestite da entrambi;
i debiti; gli utili e gli incrementi delle aziende in comproprietà;
ciò che resta dei redditi personali.

Come sapere se c’è la comunione dei beni?

Come detto, chi non sceglie la separazione dei beni al momento del matrimonio o anche dopo (può essere fatta successivamente alle nozze) entra automaticamente nel regime patrimoniale della comunione dei beni, anche se occorre precisare che:

per i matrimoni contratti fino al 20 settembre 1975, il regime che veniva automaticamente applicato, anche in mancanza di espresso consenso, era quello della separazione dei beni. Quindi, a meno che i coniugi abbiano voluto optare per la comunione dei beni – scelta che doveva essere manifestata in modo chiaro ed esplicito – marito e moglie restano ciascuno titolare dei propri beni;
per i matrimoni contratti dal 20 settembre 1975 in poi (quindi, sino ad oggi), succede l’esatto contrario: il regime «automatico» – quello cioè che scatta in assenza di autonoma previsione – è quello della comunione dei beni.

Chi, però, vuole avere delle certezze nero su bianco, deve dare un’occhiata al certificato di matrimonio: in quel documento, infatti, viene annotata a margine, da chi lo redige, la scelta fatta (i coniugi si limitano a firmarlo). Pertanto, occorrerà chiedere un estratto dell’atto di matrimonio al Comune presso il quale sono state celebrate le nozze. Se sull’atto risulta indicato «nessuna annotazione» significa che sei sposato in regime di comunione legale dei beni.

L’atto di matrimonio dovrà riportare anche un’eventuale scelta successiva di separazione dei beni fatta davanti ad un notaio, per cui è impossibile sbagliare.

Per le convivenze, invece, il decreto Cirinnà [1] prevede che «i conviventi di fatto possono disciplinare i rapporti patrimoniali relativi alla loro vita in comune con la sottoscrizione di un contratto di convivenza»; e che il predetto contratto può contenere il regime patrimoniale della comunione dei beni.

Visto su: La legge per tutti

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