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Si può vietare all’inquilino il recesso anticipato dall’affitto?

8 Ottobre 2024
Si può vietare all’inquilino il recesso anticipato dall’affitto?
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Recesso per giusta causa: la “rescissione” dell’affitto è sempre ammessa dalla legge.

La Cassazione, con sentenza dell’8 agosto 2023 numero 24176, ha risposto a una domanda interessante: si può vietare all’inquilino di recedere dal contratto di affitto?

Nel caso di specie, il locatore aveva inserito, nella scrittura privata, una clausola in forza della quale il conduttore si impegnava a non disdettare il contratto per i primi quattro anni. La Corte, tuttavia, ha ritenuto tale previsione in contrasto con la legge. Cerchiamo allora di comprendere quando l’inquilino può recedere dal contratto di locazione e per quali motivi.
Indice

Il recesso del conduttore
Quando si può recedere dall’affitto per gravi motivi?
Si può limitare il recesso per gravi motivi?
Il recesso del conduttore

Ci sono tre casi in cui il conduttore può recedere dall’affitto: per disdetta, da spedire almeno sei mesi prima del tacito rinnovo automatico. Tale disdetta può essere inviata già in concomitanza della prima scadenza del contratto (ossia dopo i primi 3 anni nel contratto di locazione a canone concordato oppure dopo i primi 4 nel contratto a canone libero);
per recesso convenzionale: il contratto può prevedere delle specifiche ipotesi in cui l’inquilino può disdire dall’affitto senza bisogno di attendere la naturale scadenza, dandone comunque preavviso 6 mesi prima. Di norma tali ipotesi sono concordate dalle parti al momento della redazione della scrittura. Si pensi a una persona che, dovendo prendere in affitto un appartamento nel luogo di lavoro, ma non potendo prevedere quando sarà spostato di sede, faccia inserire nel contratto la clausola che gli consente di recedere anticipatamente se l’azienda dovesse trasferirlo;
per gravi motivi: ossia per situazioni eccezionali che rendano oggettivamente gravosa la prosecuzione del contratto. Anche in questo caso è comunque dovuto il preavviso di sei mesi durante i quali bisognerà pagare regolarmente il canone. Si tratta di un’ipotesi di recesso legale, previsto cioè dalla legge, che le parti non possono escludere o limitare. Di tanto però parleremo meglio in seguito.

Quanto sopra è previsto espressamente dall’articolo 4 della Legge 27 luglio 1978, numero 392, secondo il quale: «È in facoltà delle parti consentire contrattualmente che il conduttore possa recedere in qualsiasi momento dal contratto dandone avviso al locatore, mediante lettera raccomandata, almeno sei mesi prima della data in cui il recesso deve avere esecuzione.

Indipendentemente dalle previsioni contrattuali il conduttore, qualora ricorrano gravi motivi, può recedere in qualsiasi momento dal contratto con preavviso di almeno sei mesi da comunicarsi con lettera raccomandata».
Quando si può recedere dall’affitto per gravi motivi?

Il conduttore può esercitare liberamente il recesso per gravi motivi dal contratto di locazione, interrompendolo così in qualsiasi momento, senza dover attendere la successiva scadenza.

Affinché si possa parlare di “giusta causa”, è necessario che ricorrano tutti i seguenti presupposti: evento imprevedibile al momento della conclusione del contratto e quindi sopraggiunto in un momento successivo: si deve trattare di una situazione nuova che non era né nota né ipotizzabile dall’inquilino quando ha stipulato il contratto (si pensi a un licenziamento che impedisca di pagare il canone);
evento non dipendente dalla volontà dell’inquilino: il motivo che porta al recesso non deve essere attribuibile a una decisione o a un’azione volontaria del conduttore. La causa deve essere esterna e non sotto il suo controllo (si pensi a un trasferimento lavorativo non richiesto);
causa che rende gravosa la prosecuzione del contratto: per l’inquilino deve risultare oggettivamente e particolarmente difficile continuare a rispettare gli obblighi contrattuali. Non si tratta solo di una lieve inconvenienza (un trasferimento di poche decine di chilometri), ma di una difficoltà sostanziale che incide profondamente sulla capacità dell’inquilino di mantenere il contratto (un trasferimento in una regione posta a diverse centinaia di chilometri di distanza, oppure la nascita di un figlio che non consenta di vivere più in un monolocale).

Ecco alcuni esempi pratici in cui potrebbe essere invocato il recesso per “giusta causa” (o meglio: per “gravi motivi”):

gravi problemi di salute: ad esempio un inquilino che sviluppa una grave malattia che richiede un trasferimento in un’altra città per ricevere cure specializzate. Si pensi anche all’inquilino che necessiti di un montascale o di un ascensore che non sono invece presenti nel palazzo ove vive in quel momento;
trasferimento lavorativo inatteso: è il caso dell’inquilino che riceve un’imprevista proposta di lavoro in un’altra città o Paese che non può essere ragionevolmente rifiutata;
danni strutturali gravi e improvvisi all’immobile;
violazione delle regole condominiali da parte degli altri inquilini: si pensi a un vicino rumoroso che non faccia dormire.

In tutti queste ipotesi, il conduttore è tenuto a comunicare la sua intenzione di recedere dal contratto con un preavviso di almeno sei mesi, inviando una lettera raccomandata al locatore. Tale preavviso serve a garantire al locatore un tempo adeguato per trovare un nuovo inquilino o per adattarsi alla nuova situazione.
Si può limitare il recesso per gravi motivi?

Il contratto di affitto può ampliare i casi in cui l’inquilino può recedere dalla locazione (oltre a quelli per “gravi motivi”), inserendo – come visto sopra – ipotesi di recesso convenzionale. Al contrario però il contratto non può escludere il recesso per gravi motivi.

Come infatti chiarito dalla Cassazione, indipendentemente dalle previsioni contrattuali il conduttore, qualora ricorrano gravi motivi, «può recedere in qualsiasi momento dal contratto con preavviso di almeno sei mesi da comunicarsi con lettera raccomandata».

Visto su: La legge per tutti

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