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Tasse, le nuove scadenze.

12 Aprile 2017
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Tasse, le nuove scadenze.

In arrivo un cambiamento strutturale nel calendario delle scadenze fiscali in merito alla dichiarazione dei redditi e al saldo delle imposte.

Tra le novità di quest’anno che riguardano in prima persona il cittadino, una delle più importanti è lo slittamento dei termini per pagare le imposte.

Il decreto fiscale 2016 [1], difatti, ha introdotto delle nuove scadenze per il pagamento delle tasse: in particolare, il governo ha disposto “a regime”, cioè in modo permanente, il differimento dei termini di versamento delle imposte derivanti dalle dichiarazioni dei redditi.

È in atto, dunque, una vera e propria rivoluzione nel calendario delle scadenze fiscali: le nuove disposizioni, entrate in vigore quest’anno, mirano ad evitare il caos che fino allo scorso anno si è costantemente creato, con termini troppo stringenti da un lato e proroghe incerte sino all’ultimo minuto dall’altro.

Cambiano perciò in modo strutturale le scadenze per la presentazione delle dichiarazioni dei redditi modello Unico (ora modello Redditi 2017), modello 730, Irap e la dichiarazione Iva, coi rispettivi termini di versamento.

Vediamo insieme, con la nostra breve guida, che cosa cambia nello specifico e quali sono i nuovi parametri di scadenza.
Modello Unico: redditi 2017

Con l’introduzione dei nuovi termini di pagamento, la scadenza per il versamento del saldo e del primo acconto dell’Irpef, Ires, Irap, cioè delle imposte che risultano dalla dichiarazione Redditi 2017 (ex modello Unico), slitta al 30 giugno anziché al 16 dello stesso mese. Allo stesso modo viene anche stabilito che i termini possono essere prorogati fino al 30 luglio, anziché del 16 luglio, versando una maggiorazione dello 0,40.

Queste nuove disposizioni valgono sia per le persone fisiche che per le società di persone (in relazione all’Irpef); valgono inoltre in caso di operazioni straordinarie, eseguite da persone fisiche o società, effettuate prima del 31 dicembre dell’anno per il quale viene presentata la dichiarazione dei redditi.

Le nuove disposizioni non sono, invece, valide nel caso in cui si verifichi la cessazione dell’attività di una società di persone, senza che venga messa in atto la procedura di liquidazione, oppure se si verifica lo scioglimento di una società per mancata ricostituzione della pluralità dei soci entro 6 mesi. In questi due casi vengono applicati i termini ordinari, senza prendere in considerazione le nuove disposizioni di scadenza.

È bene precisare che per tutte le società (e per gli altri soggetti Ires) che approvano il bilancio o il rendiconto a giugno o a luglio i termini di pagamento delle imposte sono leggermente diversi: c’è tempo per il versamento fino al 31 luglio, invece del 16 luglio. Allo stesso modo le tempistiche si allungano al 31 agosto, invece del 22 agosto, per chi versa con la maggiorazione dello 0,40.
Modello 730

Novità anche sul fronte delle scadenze per i versamenti relativi alla dichiarazione dei redditi dei lavoratori dipendenti effettuata con modello 730.

La trasmissione telematica del modello 730 deve essere infatti effettuata entro il 23 luglio, per chi si avvale del modello 730 precompilato. Questo nuovo termine è valido anche per i professionisti abilitati e i caf, ma solo se entro il 7 luglio effettuano la trasmissione di almeno l’80% delle dichiarazioni.
Conguagli da 730

Ai soggetti che presentano una dichiarazione 730 a debito, in assenza di un sostituto d’imposta che possa effettuare i conguagli, si applicano gli stessi termini applicati alle persone fisiche.
Proroghe dei termini: quali versamenti

Le proroghe riguardano:

addizionali Irpef;
Ivie e Ivafe;
addizionali e maggiorazioni Ires;
contributo di solidarietà;
diritto annuale Cciaa;
Iva dovuta per l’adeguamento agli studi di settore;
imposte sostitutive per i contribuenti minimi o forfettari;
acconto del 20% sui redditi soggetti a tassazione separata;
contributi Cipag (geometri);
maggiorazione del 3% per l’adeguamento agli studi di settore;
contributi Inps Ivs e gestione separata.

Nessun differimento, invece, per:

il versamento del secondo acconto Irpef, Ires e Irap, che rimane fissato al 30 novembre;
l’Imu e la Tasi;
l’imposta sostitutiva sull’affrancamento delle partecipazioni;
l’imposta sostitutiva per l’assegnazione dei beni ai soci;
l’imposta sostitutiva per l’estromissione agevolata degli immobili strumentali degli imprenditori individuali.

Comunicazioni Iva

Notevoli i cambiamenti che riguardano le dichiarazioni e le comunicazioni Iva nel 2017. Escludendo le particolarità relative ad alcune specifiche categorie di contribuenti, per i quali adempimenti e scadenze sono diversi, riassumiamo i principali obblighi per la generalità dei contribuenti.

dichiarazione Iva: dal 2017 la dichiarazione Iva si presenta separatamente rispetto al modello Unico, come già detto; la scadenza è fissata al 28 febbraio, ma è possibile presentarla nei 90 giorni successivi con ravvedimento; dal 2018 i termini per la presentazione dovrebbero però variare ancora una volta;
liquidazioni periodiche Iva: i termini entro cui comunicare i dati relativi alle liquidazioni periodiche Iva (comunicazione telematica dei dati contabili riepilogativi delle liquidazioni periodiche Iva effettuate) sono fissati, al momento, il 31 maggio, il 18 settembre, il 30 novembre e il 28 febbraio;
comunicazioni dati Iva: il nuovo spesometro, con il maxiemendamento al Milleproroghe 2017, è stato posticipato al 18 settembre 2017 per il primo semestre dell’anno e al 28 febbraio 2018 per il secondo semestre; a regime le scadenze saranno 31 maggio, 16 settembre, 30 novembre e 28 febbraio.

Cedolare secca

Per quanto riguarda la cedolare secca il pagamento del saldo dell’imposta segue gli stessi termini che sono stati fissati per il versamento Irpef. Pertanto le scadenze prorogate al 30 giugno, invece che al 16 giugno; un mese in più anche per chi versa con la maggiorazione dello 0,40 che ha tempo di effettuare i pagamenti fino al 30 luglio, invece del 16 luglio.
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Il punto di riferimento della questione è l’articolo 26, comma 1, del d.P.R. n. 917/1986 (Tuir). La regola generale contenuta nel citato articolo prevede che i redditi da locazione siano imputati indipendentemente dalla loro percezione. Pertanto, non rileva il canone effettivamente percepito dal locatore, bensì l’ammontare di esso contrattualmente previsto per il periodo di imposta di riferimento. La rilevanza del canone pattuito opera fin quando risulta in vita il contratto di locazione. Solo a seguito della cessazione della locazione, per scadenza del termine ovvero per il verificarsi di una causa di risoluzione del contratto, il reddito è determinato sulla base della rendita catastale.

L’articolo citato dispone, inoltre, che i redditi derivanti da contratti di locazione di immobili ad uso abitativo, se non percepiti, non concorrono a formare il reddito dal momento della conclusione del procedimento giurisdizionale di convalida di sfratto per morosità del conduttore. L’esclusione dalla tassazione opera limitatamente all’ammontare dei canoni che il giudice ha accertato come non riscossi.

La legge [1] ha previsto a favore di particolari categorie sociali la sospensione per un periodo di otto mesi, delle esecuzioni dei provvedimenti di rilascio per finita locazione degli immobili adibiti ad uso di abitazioni.

Le condizioni affinché si realizzi la sospensione sono che il conduttore abbia:

un reddito annuo lordo complessivo familiare inferiore a 27.000 euro;
nel proprio nucleo familiare figli fiscalmente a carico;
nel proprio nucleo familiare persone ultrasessantacinquenni, malati terminali o portatori di handicap con invalidità superiore al 66%.

È, inoltre, necessario che l’immobile sia posto nei comuni capoluoghi di provincia oppure nei comuni con essi confinanti con popolazione superiore a 10.000 abitanti oppure ancora nei comuni ad alta tensione abitativa [2]. Tale sospensione degli sfratti esecutivi consente di escludere dal reddito imponibile del fabbricato la quota di reddito relativa al periodo per il quale ha operato. In sostanza, per i proprietari degli immobili locati ai conduttori individuati dalla legge citata, per tutto il periodo di sospensione della procedura esecutiva, non concorre alla formazione del reddito imponibile il reddito derivante dalla locazione.

La sentenza della Cassazione [3] ha stabilito che, ai fini della determinazione del reddito imponibile da fabbricati Irpef, non è applicabile il criterio del reddito costituito dai canoni di locazione risultanti dai relativi contratti quando, secondo i criteri di capacità contributiva [4] e buona fede [5], sussista la prova, desunta da elementi indiziari ritenuti congrui dal giudice di merito con insindacabile e non contestato giudizio (procedura di sfratto per morosità), che gli stessi canoni non sono stati concretamente percepiti dai proprietari.

Infine, un interessante passaggio è contenuto in una circolare dell’Agenzia delle Entrate [6] in cui si dice che detti canoni non devono essere riportati nella relativa dichiarazione dei redditi se, entro il termine di presentazione della stessa, si è concluso il procedimento di convalida di sfratto per morosità e, nel caso in cui il giudice confermi la morosità del locatario anche per i periodi precedenti il provvedimento giurisdizionale, al locatore è riconosciuto un credito d’imposta di ammontare pari alle imposte versate sui canoni venuti a scadenza e non percepiti.”

Sempre in detta circolare, si fa presente che la Corte Costituzionale [7] ha ritenuto non fondata la questione di legittimità costituzionale del Tuir in quanto il sistema di tassazione che presiede alle locazioni non abitative non risulta gravoso e irragionevole dal momento che il locatore può utilizzare tutti gli strumenti previsti per provocare la risoluzione del contratto di locazione (dalla clausola risolutiva espressa alla risoluzione a seguito di diffida ad adempiere alla azione di convalida di sfratto) e far “riespandere” la regola generale di attribuzione del reddito fondiario basata sulla rendita catastale.

Articolo tratto da una consulenza del dott. Alessandro Cesarano

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